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Regime edilizio della telefonia mobile: le nozioni di "stazione radio base”, “infrastrutture” e “impianti”

Jesus Cortinovis

Autore: Jesus Cortinovis

Data: 13.12.2011

Utilizzo: questo articolo è distribuito con licenza Creative Commons Attribuzione 2.5 Italia


Abstract

Con sentenza n. 2100 dell'11 novembre 2011, il Tribunale amministrativo regionale di Palermo è tornato ad esaminare una serie di tematiche già oggetto di precedenti pronunce sia del medesimo Tribunale amministrativo che del Consiglio di Stato, nel solco di principi indicati dalla stessa Corte Costituzionale.

La fattispecie all'esame dei giudici siciliani consisteva nell’ordinanza assunta dal Comune di Favara, con la quale veniva ingiunto alla società ricorrente di disattivare la stazione radio base per telefonia cellulare posta su un edificio cittadino, sul presupposto della asserita necessità del rilascio della concessione edilizia: di diverso avviso é stato il TAR Sicilia, il quale ha escluso che per l’installazione degli impianti di telefonia mobile occorra un titolo edilizio.

La decisione è l'occasione per mettere ordine in un quadro giurisprudenziale in continua evoluzione, sia con riferimento alle tematiche inerenti la localizzazione e il regime dei titoli abilitativi necessari per l’installazione di infrastrutture di comunicazione elettronica, sia con riferimento alle nozioni di "stazione radio base”, “infrastrutture” e “impianti”, espressioni spesso citate nelle sentenze in materia senza porre particolare attenzione al significato delle stesse.

Il quadro normativo di riferimento degli impianti di telefonia mobile

Al fine di esaminare le tematiche inerenti la localizzazione, il regime dei titoli abilitativi necessari per l’installazione di infrastrutture di comunicazione elettronica, nonché la tutela della salute umana dai rischi dell’elettromagnetismo, temi tutti oggetto della sentenza in commento, pare opportuno, anzitutto, ricordare che la normativa nazionale di riferimento va individuata nella L. n.36/2001 denominata “Legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici”, nel D.P.R. n.380/2001 denominato “Testo Unico in Materia Edilizia” e nel D.Lgs. n. 259/2003 denominato “Codice delle comunicazioni elettroniche”.

Con l'adozione di quest'ultimo si è chiusa la prima fase delle liberalizzazioni dei mercati iniziata negli anni Ottanta e si è aperta una fase del tutto nuova con una disciplina unica che riguarda tutte le forme di comunicazione elettronica.

Il D.Lgs. n. 259/2003 e s.m.i., oltre a ricalcare i principi fondamentali già dettati in materia dalla L. n.223/1990, c.d. Legge Mammì, recepisce inoltre due articoli della direttiva 2002/21/CE del 7 marzo 2002, c.d. direttiva quadro, dedicando specificatamente il Capo V, Titolo II, ai procedimenti autorizzatori relativi alle infrastrutture ed agli apparati trasmettitori,  corpo normativo comune per le reti e per i servizi di comunicazione elettronica.

Già con la direttiva 1996/19/CE, c.d. direttiva full competition, si è realizzata la completa liberalizzazione delle reti e dei servizi: essa riconosce infatti il diritto degli Operatori, da un lato ad installare e fornire reti di telecomunicazioni e dall’altro di usare le infrastrutture fornite anche da terzi.

Con riferimento alle disposizioni normative vigenti nel territorio regionale siciliano, va ricordato peraltro che la medesima Regione a statuto speciale ha recepito il D.Lgs n.259/2003 e s.m.i. con la L.R. n.17/2004, art.103.

Pare altresì rilevante evidenziare come, anche di recente, il Tribunale amministrativo regionale di Palermo (TAR Sicilia, Palermo, Sez. II, n.22/2011), in aderenza anche al dettato delle pronunce della Corte Costituzionale n.129/2006 e n. 265/2006, abbia sottolineato il principio secondo il quale:

a seguito dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 259/2003, recepito nella Regione Siciliana con l'art. 103 della l.r. 28 dicembre 2004, n. 17, le valutazioni urbanistiche edilizie relative all'installazione delle infrastrutture di comunicazione elettronica sono assorbite nel procedimento delineato dall'art. 87 che prevede un unico procedimento autorizzatorio per l'installazione di tali infrastrutture.

Procedimento finalizzato a garantire, tramite procedure tempestive e semplificate, "la parità delle condizioni concorrenziali fra i diversi gestori nella realizzazione delle proprie reti di comunicazione sul territorio nazionale, nonché la osservanza di livelli uniformi di compatibilità ambientale delle emissioni radioelettriche", vero che "l'intento perseguito dal legislatore comunitario e da quello nazionale è quello di consentire la installazione di stazioni radio base in forza di un unico provvedimento autorizzatorio, che deve essere rilasciato sulla base di un procedimento unitario, nel contesto del quale devono essere fatte confluire le valutazioni sia di tipo ambientale che di tipo urbanistico".

L'affermazione contenuta nella sentenza del TAR Palermo, secondo cui

per l’installazione degli impianti di telefonia mobile non occorre la concessione edilizia

va raccordata con una predente pronuncia della medesima Sezione II, del 9 maggio 2006, n.1010, nella quale si esaminava la dibattuta questione dei poteri comunali in materia di installazione delle stazioni radio base e in cui si concludeva che "gli impianti di telefonia mobile non possono essere assimilati alle normali costruzioni edilizie, in quanto normalmente non sviluppano volumetria o cubatura, non determinano ingombro visivo paragonabile a quello delle costruzioni, non hanno un impatto sul territorio paragonabile a quello degli edifici in cemento armato o muratura".

Al fine di esaminare la rilevanza della sentenza in commento pare opportuno esaminare il significato che il legislatore attribuisce alle espressioni “stazione radio base”, “infrastrutture” e “impianti” (per telecomunicazioni).

La nozione di “stazione radio base”

In linea generale, con il termine di “stazione radio base”, in sigla BTS (del corrispondente termine inglese "base transceiver station"), si indica il sottosistema di ricetrasmissione di un segnale radio dotato di antenna ricetrasmittente che serve i terminali mobili di utente coprendo una determinata area geografica detta cella radio.

In tal senso, le stazioni radio base sono dunque la “base” della telefonia cellulare composte da antenne ricetrasmittenti poste ad una certa altezza su tralicci e/o pali di sostegno a loro volta posti in locazioni rialzate rispetto all'area di copertura della cella radio. Questo al fine di evitare disturbi e ostacoli fissi di radiopropagazione quali rilevi e vegetazione massimizzando in questo modo l'area di copertura e la potenza del segnale radioelettrico.

Sempre parte dalla BTS sono poi le apparecchiature ricetrasmittenti, poste all’interno di o un box, o di un idoneo armadio o di uno shelter o di una cabina (prefabbricata o in muratura), collocata (generalmente) a livello del terreno e di fianco o sotto il traliccio/palo, o sulla coperture degli edifici esistenti.

A titolo esemplificativo e sintetico, costituiscono apparecchiature ricetrasmittenti il quadro elettrico, le batterie tampone, l’armadio gsm/dcs, il climatizzatore e la cabina di alimentazione elettrica.

Sul traliccio/palo di sostegno sono poi attestati i necessari cavi coassiali per il collegamento e funzionamento della BTS.

La nozione di “stazione radioelettrica”

Il Legislatore definisce il concetto di “stazione radioelettrica” all’art.1, nn), del D.Lgs. n.259/2003 e s.m.i., individuandola come

uno o più trasmettitori o ricevitori o un insieme di trasmettitori e ricevitori, ivi comprese le apparecchiature accessorie, necessari in una data postazione, anche mobile o portatile, per assicurare un servizio di radiocomunicazione o per il servizio di radioastronomia

La nozione di “infrastrutture”

Il Legislatore non definisce invece, altrettanto chiaramente, il termine “infrastrutture”, rimettendolo in un certo senso al contenuto dell’art. 86, commi 1 e 3, del medesimo Codice delle comunicazioni elettroniche, evidenziando in tal senso che

Le autorità competenti alla gestione del suolo pubblico adottano senza indugio le occorrenti decisioni e rispettano procedure trasparenti, pubbliche e non discriminatorie, ai sensi degli articoli 87, 88 e 89, nell'esaminare le domande per la concessione del diritto di installare infrastrutture …. Le infrastrutture di reti pubbliche di comunicazione, di cui agli articoli 87 e 88, sono assimilate ad ogni effetto alle opere di urbanizzazione primaria di cui all'articolo 16, comma 7, del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, pur restando di proprietà dei rispettivi operatori, e ad esse si applica la normativa vigente in materia.

Il medesimo D.lgs. n.259/2003 e s.m.i., al successivo art.87, comma 1, specifica poi che

L'installazione di infrastrutture per impianti radioelettrici e la modifica delle caratteristiche di emissione di questi ultimi e, in specie, l'installazione di torri, di tralicci, di impianti radio-trasmittenti, di ripetitori di servizi di comunicazione elettronica, di stazioni radio base per reti di comunicazioni elettroniche mobili GSM/UMTS, per reti di diffusione, distribuzione e contribuzione dedicate alla televisione digitale terrestre, per reti a radiofrequenza dedicate alle emergenze sanitarie ed alla protezione civile, nonché per reti radio a larga banda punto-multipunto nelle bande di frequenza all'uopo assegnate, viene autorizzata dagli Enti locali.

La disposizione introduce chiaramente la distinzione tra il concetto di “impianti” (e relative modifiche degli stessi), dal concetto di “infrastruttura”, come elementi ed opere diverse ed accessori per l’alloggiamento ed il funzionamento degli impianti medesimi.

L'assimilazione alle opere di urbanizzazione primaria

Premesso che per “opere di urbanizzazione primaria” debbono intendersi  tutte quelle opere indispensabili per la vivibilità dell'abitato, la cui esistenza si rende necessaria per il soddisfacimento delle primarie esigenze di vita della popolazione, da una lettura delle specifiche dell’art.87, comma 1, rispetto al disposto dell’art. 86, del medesimo Codice delle comunicazioni elettroniche, pare evidente come il Legislatore faccia rientrare nel concetto di “infrastrutture di reti pubbliche di comunicazione”, tutta una serie di elementi tra i quali infrastrutture, impianti radioelettrici ed impiantistici, assimilando il tutto ad opere di urbanizzazione primaria, proprio per la funzione rilevante svolta dalle infrastrutture di rete nel loro insieme.

Rileva però evidenziare come nel successivo art.87, comma 1 del medesimo D.Lgs n.259/2003, il Legislatore abbia comunque voluto  distinguere “l'installazione di infrastrutture per impianti” dagli “impianti radioelettrici(e modifiche delle loro caratteristiche di emissione).

Ne consegue che mentre nella definizione di “infrastrutture di reti pubbliche di comunicazione” il Legislatore fa chiaramente riferimento ad un concetto generale, comprensivo di tutta una serie di elementi strutturali, e tecnici, nel concetto di “infrastrutture per impianti” il medesimo legislatore fa invece solo riferimento ad alcuni elementi costitutivi di una postazione per comunicazioni elettroniche o meglio da un infrastruttura di rete pubblica di comunicazioni, in ogni caso elementi diversi dagli “impianti” in senso stretto.

In tal senso risulta pertanto evidente ed in linea con il dettato del Legislatore, come solo un’insieme di “impianti” costituisca una stazione radio base o una stazione radioelettrica, mentre il concetto di infrastrutture per impianti va invece inteso come l’insieme di tutti gli elementi necessari, accessori e funzionali all’alloggiamento ed al funzionamento della stazioni radioelettrica o di idonei impianti.

La distinzione tra “infrastrutture”, destinate ad alloggiare “impianti” in senso stretto, veniva del resto già evidenziata anche nella direttiva 1996/19/CE, c.d. direttiva full competition, nella parte in cui si specifica come le sole infrastrutture, possano essere fornite anche da terzi, pertanto da soggetti anche non Operatori.

Il Legislatore comunitario del 1996 ha dunque voluto mettere in evidenza una certa realtà di mercato legata a soggetti ben determinati, già presenti e disciplinati in alcuni Paesi dell’Unione Europea, come le Tower Company, ossia appunto soggetti giuridici diretti ad improntare il proprio business nella concessione di infrastrutture (intese dal Legislatore comunitario del 1996 come opere diverse dagli impianti) destinate esclusivamente ad ospitare ed offrire un servizio agli impianti ricetrasmettitori per telecomunicazioni.

Oggi, a distanza di quindici anni dalla direttiva c.d. full competition e di quasi nove anni dal D.Lgs. n.259/2003 e s.m.i., il panorama europeo, lo sviluppo di sempre nuove e diverse tecnologie e le attuali esigenze di mercato, hanno indotto talune Tower Company - grazie ad accordi commerciali con gli Operatori - a fornire ai medesimi Operatori di rete un servizio sempre più completo, che si estende sino agli impianti in senso stretto, secondo la previsione del D.Lgs n.259/2003 e s.m.i., lasciando in questo modo agli operatori di rete la gestione del solo segnale radioelettrico.

Pare pertanto evidente come il concetto di “infrastrutture” vada sempre più a ricalcare il concetto di “infrastrutture di reti pubbliche di comunicazione come inteso dal Legislatore nel D.Lgs. n.259/2003 e s.m.i..

La sentenza n. 2100/2011 del TAR Palermo

Ciò considerato, è quindi innovativo - ma comunque aderente alle nuove esigenze tecnologiche e di mercato - l’orientamento manifestato dalla sentenza n. 2100/2011 del TAR Palermo, ove il Collegio ha precisato che per l’installazione degli impianti di telefonia mobile non occorre la concessione edilizia e tantomeno alcuna variante urbanistica.

Va evidenziato come il Collegio faccia riferimento, in generale, a qualsiasi concessione edilizia, pertanto anche al procedimento autorizzativo previsto dal D.Lgs n.259/2003 e s.m.i.; oltre al fatto che la non necessità di una concessione edilizia si riferisce ai soli “impianti” di proprietà della società istante Operatore.

Il medesimo Collegio, sempre in relazione ai soli impianti, consolida inoltre il postulato richiamando anche quanto già affermato dalla medesima Sezione II con la sentenza n. 1010/2006: cioè che, secondo un consolidato e condiviso orientamento giurisprudenziale, gli impianti di telefonia mobile non possono essere assimilate alle normali costruzioni edilizie, in quanto normalmente non sviluppano volumetria o cubatura, non determinano ingombro visivo paragonabile a quello delle costruzioni oltre a non aver un impatto sul territorio paragonabile a quello degli edifici in cemento armato o muratura.

Il tutto in considerazione del fatto che si tratta di strutture le quali, per esigenze di irradiamento del segnale, si sviluppano normalmente in altezza, per mezzo di strutture metalliche, pali o tralicci, talora collocate su strutture preesistenti o su coperture di edifici esistenti (le infrastrutture appunto).

Tali caratteristiche peculiari impongono, pertanto, una valutazione separata e distinta del fenomeno, che deve essere compiuta con specifico riferimento anche alle infrastrutture telefoniche, escludendosi la legittimità di una estensione analogica di una normativa edilizia concepita per altri scopi e diretta a regolamentare altre forme di utilizzazione del territorio (cfr., tra le tante, Cons. Stato, VI, n. 4847/2003; n. 7725/2003; T.A.R. Campania Napoli, sez. I, n. 16110/2005).

Il Collegio ha inoltre rimarcato il costante orientamento giurisprudenziale, concorde nel ritenere che la collocazione sul territorio degli impianti di telefonia mobile, deve ritenersi consentita sull’intero territorio comunale, non essendo necessaria alcuna variante urbanistica e non assumendo carattere ostativo le specifiche destinazioni, rispetto ad impianti di interesse generale, quali quelli di telefonia mobile, che presuppongono la realizzazione di una rete che dia capillare distribuzione del servizio di telefonia mobile con la conseguente necessità che gli impianti siano tra loro idoneamente collegati (cfr., tra le altre, Cons. di Stato, Sez. VI, n. 673/2003; Cons. di Stato, Sez. VI, n. 7502/2004; Cons. di Stato, Sez. VI, n. 1431/2007; Cons. di Stato, Sez. VI, n. 4159/2005;; Cons. Stato, sez. VI, n. 3332/2006; T.A.R. Emilia Romagna, Parma, n. 217/2008).

La legge 36/2001 e i limiti ai poteri delle amministrazioni locali

Nell'ottica del presente lavoro pare utile ricordare che la disciplina di riferimento è contenuta nell’art. 8 della L. n.36/2001, a norma del quale

1. Sono di competenza delle regioni, nel rispetto dei limiti dì esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità nonché dei criteri e delle modalità fissati dallo Stato, fatte salve le competenze dello Stato e delle autorità indipendenti: a) l'esercizio delle funzioni relative all'individuazione dei siti dì trasmissione e degli impianti per telefonia mobile, degli impianti radioelettrici e degli impianti per radiodiffusione, ai sensi della legge 31 luglio 1997, n. 249, e nel rispetto del decreto di cui all'articolo 4, comma 2, lettera a), e dei principi stabiliti dal regolamento di cui all'articolo 5; b) … omissis; c) le modalità per il rilascio delle autorizzazioni alla installazione degli impianti di cui al presente articolo, in conformità a criteri di semplificazione amministrativa, tenendo conto dei campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici preesistenti; d)… omissis.

6. I comuni possono adottare un regolamento per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l'esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici.

Tutto ciò si traduce nel divieto da parte dell’Amministrazione comunale:

  • di introdurre misure tipicamente urbanistiche (distanze, altezze, ecc.) non funzionali al governo del territorio, quanto piuttosto dirette alla tutela della salute dai rischi dell'elettromagnetismo (cfr. Corte Cost. n.331/2003; Cons. Stato, sez. IV, sent. n. 450/2005; TAR Lazio sez. II, n. 8170/2001; TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 999/2010);
  • di introdurre limitazioni alla localizzazione degli impianti di telefonia mobile per estese aree del territorio comunale, attraverso il non giustificato utilizzo di strumenti di natura edilizia – urbanistica (quali ad esempio il generalizzato divieto di installazione delle stazioni radio - base per la telefonia cellulare in tutte le zone territoriali omogenee a destinazione residenziale).

Divieti confermati dalla giurisprudenza amministrativa (cfr., tra le altre, Cons. di Stato, sez. VI, ord. n.865/2001, Cons. Stato sez. VI, sent. n. 7274/2002; Cons. Stato sez. VI, set. n. 3095/2002; Cons. Stato sez. VI, sent. n.673/2003; Cons. Stato sez. VI, sent. n.4841/2003; TAR Lombardia, Milano, Sez. II - 6 aprile 2010, n. 999) la quale ha più volte affermato, inequivocabilmente, che la fissazione di limiti di esposizione ai campi elettromagnetici diversi da quelli stabiliti dallo Stato (con il d.m. n.381/1998) non rientra nell'ambito delle competenze attribuite ai comuni dall'art. 8 della L. n.36/2001.

In tal senso va evidenziato come la medesima L. n.36/2001 si pone quale coerente punto d’arrivo di un complesso di disposizioni, talvolta succedutesi con carattere non sempre organico, anche in relazione al rapido sviluppo di forme di comunicazioni e relative tecnologie in precedenza non diffuse, nell’ambito delle quali sono ravvisabili due principi di carattere generale:

  • in primo luogo, in attuazione dell’art.32 della Costituzione, nell’esclusiva attribuzione al solo Stato della funzione di fissazione dei criteri e dei limiti rilevanti al fine di tutelare la popolazione dei capi elettromagnetici;
  • in secondo luogo, nel conferimento, ai Comuni ed alle Regioni, di compiti aventi rilievo attuativo, esecutivo e di controllo.

Ne deriva che la tutela del bene-salute giustifica la concentrazione in capo alla stato delle attribuzioni in materia, poiché diversamente una variegata disciplina creerebbe una disarmonia di sistema, introducendo una differenziata tutela della salute dei cittadini in ragione dell’insediamento di essi nel territorio, in evidente contrasto con i principi costituzionali di cui agli artt. 3 e 32 della Costituzione.

Per tale motivo l’individuazione, da parte dell’Amministrazione comunale, di limiti, parametri e/o requisiti diversi da quelli dettati dalla normativa statale di riferimento, non può quindi che essere considerarsi illegittima.

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