[I]nterventi

Il gioco del paesaggio

Lorenzo Spallino

Autore: Lorenzo Spallino

Data: 16.2.2008

Convegno Costruire il lago? Quale futuro per il paesaggio del Lario [Como, 16.2.2008, Amministrazione provinciale di Como]

Utilizzo: questo articolo è distribuito con licenza Creative Commons Attribuzione 2.5 Italia

Abstract

Il paesaggio è un gioco al cui tavolo sono presenti diversi giocatori: qualcuno è aggressivo, qualcuno è distratto, qualcuno ha più carte degli altri, qualcuno protesta invocando il regolamento. È un gioco complesso che negli ultimi tempi vede assenti le pubbliche amministrazioni, nonostante la loro ragion d’essere sia proprio nella regolazione di questa complessità nel (superiore) interesse di tutti. Lo spettacolo che il tavolo ci offre è sfuocato, privo di prospettiva. La nostra attenzione è attratta dall'evento, dall'emergenza. Attratti dal cosa, tralasciamo il perché, ignorando che il mistero della vita sta nel continuo accadere degli eventi, non negli eventi in sé. Leggere le problematiche del paesaggio come un gioco può essere utile per comprenderne gli approcci corretti. Che non si rivelano quelli strategici ma quelli cooperativi, in cui i giocatori realizzano che ciò che è meglio per l'individuo non è necessariamente meglio per il gruppo.

Il gioco del paesaggio

La vita è un gioco la cui prima regola è: non è un gioco. Il padre dell'aforisma, Alan Watts, non voleva dire che la vita non è una cosa seria, ma che il gioco è una cosa molto seria. Parafrasando Watts, possiamo dire che anche il paesaggio è un gioco. Nella lingua italiana l'espressione gioco possiede due accezioni, assai diverse. Da un lato la dimensione ricreativa o edonistica, dall'altra quella agonistica, conflittuale. A loro volta gli inglesi distinguono tra play e game, dove play traduce la nozione di gioco-funzione e game quella di gioco-problema. In quest'ultima categoria si pone il gioco del paesaggio che possiamo definire come l'insieme delle interazioni tra più soggetti nella gestione, la valorizzazione e la difesa di quelle porzioni di territorio ritenute meritevoli di tutela. Paesaggio e territorio sono ovviamente cose diverse. Il primo attiene alla sfera emozionale, il secondo a quella spaziale, fisica. È di Paul Guichonnet, che alla sociologia della montagna ha dedicato una vita, la bella definizione di paesaggio come qualche cosa la cui funzione è di costituire una dimensione intermedia tra il mondo naturale e lo spazio personale dei sogni e dei bisogni.

Il tavolo da gioco

Il gioco del paesaggio presenta, come tutti i giochi, un tavolo, dei giocatori e delle regole. Il primo è caratterizzato da una molteplicità di eventi e di attori: tutti insieme offrono un quadro la cui complessità supera la nostra capacità di calcolo. Regolare questa complessità nel superiore interesse di tutti è compito delle istituzioni. è la ragione per cui esistono. Ecco perché le istituzioni che rinunciano a tracciare regole e priorità tradiscono alla radice il loro compito e la loro stessa ragion d‘essere. Buone regole non significa, infatti, assenza di regole. Lo spettacolo che il tavolo da gioco ci offre è oggi sfuocato, privo di prospettiva. La nostra attenzione è attratta dall'evento, dall'emergenza. Non abbiamo dimestichezza, e forse non ne vogliamo neppure avere, con tutto ciò che richiede non solo passione ma anche sacrificio, applicazione. Attratti dal cosa, tralasciamo il perché, ignorando il fatto che il mistero della vita sta nel continuo accadere degli eventi, non negli eventi in sé. Media e istituzioni hanno la loro parte di colpa in questo.

I giocatori

Con le limitazioni di ogni esemplificazione, possiamo identificare sette figure principali di giocatori:

L’imprenditore: sul territorio ci lavora. Come ama dire, ^ci campa^. Gli interessa capire se un intervento è fattibile o meno e, se sì, con quali costi e tempi. Nella gran parte dei casi non è interessato alle regole, delegando ad altri l'approfondimento. Quando ne è contrario, ostenta indifferenza. In realtà è un giocatore attentissimo, non urla, non inveisce, tiene buoni rapporti con tutti, senza mai scoprire le sue carte. Soprattutto nei momenti di crisi economica, è forse il giocatore con più possibilità, quasi che il territorio sia una sorta di riserva inesauribile. Pensate a quando l'Unione Commercianti propose, nei primi anni '60, di interrare il primo bacino da Villa Olmo a Villa Geno per realizzare un enorme parcheggio che facesse da volano per le imprese edili allora in crisi. Oggi vengono i brividi solo a pensarci, ma nell'ottica ^prima mangiare, poi filosofare^ è così.

Il professionista: anche lui con il territorio ci lavora. Ma sempre per conto di altri; è geometra, architetto, avvocato, ingegnere. Pronto a difendere a spada tratta gli interessi del suo cliente, tiene però a conservare nel rapporto con le amministrazioni un certo distacco professionale, ben sapendo che le amministrazioni da un lato possono a loro volta essere clienti esse stesse e che, d'altro canto, il cliente non capirebbe l’ostilità degli uffici motivata da incomprensioni personali. È giocatore attento quando deve esserlo.

Il tecnico comunale: in Sindaci e miti Luciano Vandelli ha paragonato i tecnici locali al tenente Drogo del Deserto dei Tartari, che dall'alto dei loro camminamenti temono l'arrivo dei liberi professionisti. Vari e mutevoli, asserragliati in uffici che faticano a contenerli, ignorati quando non osteggiati dagli amministratori, montano una guardia impossibile a un territorio che non è il loro, con turni devastanti, responsabilità pesantissime e mezzi scarsi. A volte alteri, altre accondiscendenti, nella maggioranza dei casi rassegnati ad un ruolo privo di ogni prestigio sociale. Sono giocatori in via di mutazione, non di estinzione: la seconda repubblica ha assegnato loro compiti e responsabilità per i quali non erano preparati né lo sono stati. Rinchiusi nei loro uffici, due cose hanno imparato in questi anni: a difendersi dai politici e a leggere nelle norme i limiti delle loro attribuzioni. Ma quanta strada è possibile fare nella tutela del territorio in questo modo?

Il sindaco: giocatore di umore mutevole, ha a disposizione carte pesanti e per questa ragione è spesso infastidito dalle polemiche sull’uso del territorio. E, dal suo punto di vista, con ragione. L'elezione diretta, che pur ha rappresentato un’ottima riforma amministrativa, lo ha posto come punto di riferimento nel governo delle città, divenendo il simbolo - e il mito - di un'Italia che voleva cambiare (Vandelli, 1997). Eppure la rivoluzione si è trovata stretta fra tensioni, difficoltà, contrapposizioni, in un contesto che rimaneva largamente immutato. In questo scenario, cui tutto sommato si è adattato rifugiandosi nell'inerzia tipica di chi si erge a figura sopra le parti, il primo cittadino si è trovato in qualche modo spiazzato dallo sconvolgimento che ha interessato l'azione amministrativa nell'ultimo decennio: azioni di responsabilità personali verso gli amministratori, Procure spesso aggressive, maggiori diritti per i cittadini, forme di partecipazione pubblica sempre più complesse, risorse centrali sempre più limitate, ma soprattutto la necessità di recuperare queste risorse direttamente sul territorio. E quindi dai suoi elettori. Se - come è evidente - l'ottica ordinaria del recupero delle risorse è quella straordinaria e questa si attua attraverso la valorizzazione della rendita fondiaria, come è possibile contestare i sindaci? Chi protesta, dicono, vada a Roma a chiedere maggiori risorse per i Comuni, invece di accanirsi con chi lavora sul territorio. E poi, via, come ha recentemente dichiarato un primo cittadino, cosa volete che siano quattro gru in più di fronte alla possibilità di maggiori insediamenti?

Il politico: giocatore consumato, in grado di sposare ora l'una come l'altra delle proteste, si presta volentieri a far da paciere tra i giocatori, salvo affermare senza la minima indecisione la propria volontà al momento opportuno. Dovrebbe far da tramite tra il territorio e il governo, ma nella realtà è l'unico che - con le dovute eccezioni - persegue un suo obiettivo non contingente: che è quello di farsi rieleggere o di far vincere la sua coalizione. Non ha, o non dovrebbe avere, carte particolari: in realtà i suoi poteri sono decisamente estesi, essendo in grado di dirottare sul territorio risorse non indifferenti. Soffre, come è ovvio, della possibilità che il governo centrale non appartenga al suo schieramento: ma l'esperienza insegna che anni di identità dei diversi livelli di governo (comune, provincia, regione e lo stesso governo centrale) non necessariamente significano una buona gestione del territorio.

L'ambientalista: giocatore tra i giocatori, c'è e non c'è, protesta o tace, come se fosse afflitto ora da letargia ora da iperattivismo. Suscettibile, ansioso ed ansiogeno, è il giocatore che nessuno vorrebbe al tavolo ma che il regolamento contempla come l'unico che non può mancare. Perché ambientalisti siamo, o dovremmo esserlo, tutti noi se con ambientalismo si intende lo sviluppo della coscienza sociale per la difesa delle risorse naturali, piuttosto che l'insieme dei movimenti e delle organizzazioni ad esso ispirati. Quando emerge dalla fase REM, svolge un'attività compulsiva volendo improvvisamente essere aggiornato sullo stato del gioco. Ovviamente gli altri giocatori, che pure non hanno condotto le loro operazioni nella cucina del padrone di casa, ne sono infastiditi. Tutto il gioco ne risente: la tensione sale, scoppiano liti, si invoca il regolamento, qualcuno abbandona – mai definitivamente - il tavolo da gioco. Tutto questo può essere letto in vari modi: incapacità di relazionarsi in modo stabile con gli attori istituzionali, estemporaneità degli interventi, incapacità di comprendere i meccanismi e i tempi dell'azione amministrativa, linguaggi autoreferenziali. Rilievi tutti giusti e certamente puntuali, che ignorano però il ruolo positivo che può avere il rimettere in discussione scelte date per certe. Il che non significa necessariamente negarle, ma più spesso correttamente calibrarle o farne esperienza per il futuro, fermo restando il valore catartico di una bella discussione in famiglia.

Il soprintendente: giocatore elegante, sopra le parti, mai in polemica aperta. Le modifiche al regolamento lo hanno via via privato di molte funzioni. Gli residua la possibilità di paralizzare le mosse altrui. Scelta peraltro pericolosa perché può innescare conflitti complessi, dove - se soccombente - viene chiamato a render conto come fosse l'ultimo arrivato. Sufficientemente distante dalle tensioni locali, ha conservato - forse anche per questa ragione - un certo prestigio. La drammatica carenza di risorse lo mette in difficoltà quando il legislatore o i giudici amministrativi gli attribuiscono nuovi poteri o ne riesumano di desueti, mentre la continua sottrazione di risorse, umane prima che economiche, stride con l'appartenenza a uno dei corpi più nobili dello Stato.

Le regole

Verrebbe naturale, nel parlare di paesaggio, identificare le regole del gioco con l'insieme delle norme preposte alla tutela del territorio, sia sotto il profilo ambientale che quello urbanistico. Da un altro punto di vista, qualcuno potrebbe altresì sostenere che il corpo normativo non è altro che espressione di pregresse codificazioni culturali. Qui non interessano né le une né le altre. Siamo invece interessati ai meccanismi attraverso i quali il gioco si svolge nel modo migliore. In quest’ottica la teoria dei giochi ci dice che il comportamento ottimale nei giochi con più giocatori, come è il gioco del paesaggio, non è quello strategico - dove la vittoria di un giocatore corrisponde alla sconfitta dell'altro - ma quello cooperativo, in cui i giocatori realizzano che ciò che è meglio per l'individuo non è necessariamente meglio per il gruppo. O, se si vuole, che talvolta il perseguimento del vantaggio individuale conduce a un risultato meno favorevole sul piano collettivo (Schianchi, 1997). Il quadro che le inchieste giornalistiche ci descrivono è invece dominato da giocatori che utilizzano un approccio strategico, tipico dei giochi a somma zero. In quest'ottica ogni decisione, anche la più piccola, viene presa allo scopo di sconfiggere l'avversario o comunque di indebolirlo. Ma il gioco del territorio non solo non è a due giocatori, ma neppure è un gioco a somma zero. È invece un gioco a somma diversa da zero, che come tale contempla la possibilità che la torta da suddividere possa essere differente a seconda delle scelte degli attori. Come in tutti i giochi della vita, dove ogni soluzione apre nuovi scenari, utilizzare un approccio esclusivo e non inclusivo significa condurre il gioco alla paralisi e, nel nostro caso, depredare il territorio fino a privarlo delle sue attrattive.

I valori

Questo è, a detta di molti, lo stato delle cose. Scenario dove le voci che invocano un approccio cooperativo attraverso, prima, la definizione di scenari e obiettivi e, soltanto poi, la scrittura di regole condivise, restano vox clamantis in deserto. Perché in questa ridda di voci asincrone è forte il sospetto che l’urgenza piaccia. Che cioè piaccia proprio l'assenza di regole, la situazione di stabile emergenza. Agli imprenditori quando agitano lo spettro della crisi economica, ai giornalisti quando titolano "basta con le pastoie burocratiche!", al legislatore per motivare il ricorso alla normativa eccezionale, agli ambientalisti stessi, che proprio in una situazione di continua emergenza trovano la loro più forte ragion d’essere. Di più. Negli ultimi tempi alcuni giocatori, che pure sono parte del sistema, si comportano come se non lo fossero. In questo caso, essi utilizzano un approccio tipico degli odiati – a parole - Comitati del NO, aggregazioni di cittadini nate in funzione di un solo problema, prive di una reale condivisione di obiettivi, la cui forza è appunto nel rappresentare solo interessi molto specifici sui quali c’è forte convergenza. Per raggiungere i loro obiettivi imprenditori, autotrasportatori, agricoltori, sindaci e pescatori di alborelle, si riuniscono in aggregazioni che si autodefiniscono spontanee quando non apolitiche, mettendo in campo quella che è definita come la retorica della spontaneità (Buso in Bobbio, 1999). Nonostante il sorgere dei comitati sia spesso conseguenza di un approccio comunicativo erroneo da parte delle pubbliche amministrazioni, questa situazione da giurassico dei rapporti tra le forze sociali non può più essere tollerata. Per l'ennesima volta si impone la questione irrisolta dei valori e del loro approccio. C'è una differenza abissale - diceva Willard Quine, filosofo e logico statunitense - tra quelli che tengono principalmente a chi dà loro ragione e quelli che si sforzano di essere nel giusto, mettendosi quotidianamente in gioco. Nonostante al tavolo di gioco veda molti dei primi e pochi dei secondi, voglio e debbo sperare, come Quine, che il mondo vada in eredità a questi ultimi.

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